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Giornata della Memoria, un’esperienza personale

di Kishore Bombaci

Ricordo ancora quel freddo giorno di marzo quando nell’ormai molto lontano 1998, a pochi mesi dalla maturità, mi recai in gita in Austria. Quasi per caso ci fu comunicata la possibilità di andare “in visita” al campo di sterminio di Mauthausen. Non era una tappa prevista dall’itinerario ma fu una sorta di opportunità improvvisata che fu favorevolmente accolta dagli insegnanti accompagnatori.

E anche la maggior parte di noi vide di buon occhio questa “deviazione”. Era importante esserci, era importante entrare nella Storia, vedere direttamente qualcosa che stavamo apprendendo solo dai libri. Farne esperienza non dico diretta ma di testimonianza, in un luogo atroce testimone delle atrocità degli uomini. Non avevo ancora ben chiaro che cosa sarebbe accaduto, o quali emozioni avrei provato. Certo è che ne uscii in modo diverso da come vi entrai.

Ho ancora davanti a me l’immagine del pullman che si ferma e noi che scendiamo. La giornata era fredda e piovosa, e il luogo appariva spettrale. Quella nebbia umida che ti entra nelle ossa e che quasi annuncia la disperazione che quel luogo ha rappresentato.

Varcata la soglia del campo, iniziò la visita. Un senso di freddo interiore che rispondeva al freddo dell’ambiente, progressivamente, come una mano che ti ghermisce l’anima.

Ecco, dinanzi a quei luoghi a quell’esperienza che si farà sempre fatica a razionalizzare, ogni retorica perde significato. Le parole lasciano spazio al silenzio, attonito ma al contempo, meditativo ed esistenziale.

Le baracche dove gli internati prendevano poche ore di riposo prima dell’estenuante lavoro forzato, il piazzale dove ogni mattina veniva fatto l’appello rigorosamente in tedesco anche se i prigionieri non sapevano il tedesco, le docce dove i prigionieri e la prigioniere venivano uccisi col il gas… Ecco tutte quelle immagini vissute in diretta e nel silenzio, ma che la mente non poteva non rievocare associandole a rumorosi scenari di morte. Ecco, tutto questo annullava la ragione lasciando dentro solo un senso di profondo smarrimento emotivo. Ricordo che non riuscii a trattenere le lacrime. Un pianto silenzioso e invisibile eppure così potente dentro, da squarciare l’anima. Ricordo ancora un vago odore di morte che da quelle pareti trasudava, contro ogni logica, contro ogni ragione e contro ogni trascorrere del tempo. Dopo più di 40 anni, la morte aleggiava ancora. E un’unica domanda concessa dal cuore alla testa: Come è stato possibile tutto ciò?

No. Non si può dimenticare. Non si deve dimenticare. Ancora oggi, ancora in questo momento, mentre scrivo, mentre le lacrime nuovamente affiorano, forte è l’imperativo: “Non dimenticare mai!” Perché se solo una visita poteva scatenare tutte quelle emozioni, che cosa mai doveva significare esserci stati nel 1938-45? Che cosa avranno provato gli ebrei uccisi in quel campo e cosa provano i sopravvissuti?

Sono domande che tutt’ora non hanno trovato risposta, né mai la troveranno. Perché il cuore non si può rassegnare alla barbarie dell’uomo sull’uomo, nonostante ogni spiegazione storica, politica o di qualsiasi altra umana natura. Ecco, oggi che ricorre il Giorno della Memoria, la mente va a quell’esperienza che ancora oggi lascia riaffiorare quelle emozioni e quei ricordi. Abbiamo bisogno di memoria e testimonianza, di impegno e vigilanza perché il campo di concentramento fu il momento finale di qualcosa iniziato molto prima e che può tornare, anche oggi, anche a distanza di decenni.

 

(27 gennaio 2023)

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