di Giuseppe Sciarra
Curatore dell’etichetta Bad Moon Rising Production e sceneggiatore di Tutto Un Altro Lupo, i nuovi episodi della serie a fumetti di Lupo Alberto, Lorenzo la Neve, ha parlato con noi dell’omonimo personaggio ideato da Silver nel 1973 e del suo rapporto con la mascolinità e il patriarcato. Oltre a raccontarci di Lupo Alberto, Lorenzo ci ha parlato anche di sé e della sua visione del mondo maschile e del ruolo dei padri nella nostra società – la figura del padre è stata centrale nel farmi conoscere Lorenzo e la sua splendida persona come avrete modo di leggere.
L’intervista:
Lupo Alberto è un outsider, vive nei boschi, non vuole integrarsi nella fattoria con gli altri animali e non vuole prendersi responsabilità. Secondo te che rapporto ha con la sua virilità e il mondo maschile?
Lupo Alberto è un personaggio outsider per eccellenza, nel senso più letterale del termine: c’è una comunità, la Fattoria McKenzie, nella quale lui non vive. Tuttavia, non è vero che non voglia integrarsi. Lo farebbe molto volentieri, ma a due condizioni: la prima, il cane da guardia Mosè non deve picchiarlo; la seconda, Marta la gallina, sua storica fidanzata, deve accettare di restare tale, senza pretendere il matrimonio. Alberto vive la virilità fine a sé stessa come un nemico (appunto, il machismo tossico di Mosè, che soffoca i sentimenti e le emozioni, fregando nella maggior parte dei casi Mosè stesso, più che Alberto). In generale, ora che mi ci fai pensare, quello di Alberto con il mondo maschile è un rapporto profondamente conflittuale, e lo si vede anche nelle sue interazioni con Enrico, che invece rappresenta il lato più subdolo della cultura patriarcale (basti pensare a quante volte frega la sua stessa moglie, Cesira). Il bello di Lupo Alberto in generale credo sia che tutto questo non è in alcun modo didascalico: è un fumetto molto realistico per quel che riguarda le relazioni interpersonali, e quindi, come nella realtà, questi dettagli sono scritti nel carattere insito dei personaggi senza nemmeno doverci far caso.
Con le storie di Lupo Alberto avete affrontato temi importanti come quello dei diritti lgbtq+ o il femminismo, Lupo Alberto come si rapporta con gli omosessuali e le donne?
Le storie che citi sono di decine di anni fa, e sono comunque rimaste nella storia. La saga di Enrico La Talpa omosessuale ha scosso le coscienze di tantissimi, nonostante il portabandiera del tutto fosse Enrico, il personaggio forse meno scontato per farsi carico di tematiche così importanti. Alberto si relaziona al mondo femminile facendosi molto rispettosamente i cavoli propri. Tuttavia, è spesso capitato che, in presenza di angherie verso personaggi femminili della fattoria, intervenisse in loro difesa, o quantomeno le supportasse emotivamente. Non so dirti sinceramente come si rapporta alla comunità LGBTQ+, non ci sono storie – esclusa la saga già citata – che trattano questo tema, ma se conosco il personaggio direi che il suo “vivi e lascia vivere” varrebbe con loro come vale con tutti gli altri.
Un fumetto come quello di Lupo Alberto è molto connesso alla realtà che mostra in tutte le sue contraddizioni e ipocrisie, irridendola; avete mai dato fastidio a qualcuno? Un uomo ad esempio alla Vannacci come vede un Lupo Alberto?
Personalmente, essendo dell’ultima generazione di autori del personaggio, posso dirti che al momento il Lupo non dà fastidio. Non si tratta di un personaggio satirico, è un personaggio sfaccettato, e ormai ce ne sono tanti. Il famoso opuscolo sull’AIDS, all’epoca, fece qualche polemica tra i conservatori, ma si tratta di uno schieramento politico (oggi forse ancora più di allora) con il quale è facilissimo entrare in polemica. Un uomo alla Vannacci non penso abbia mai letto Lupo Alberto, e se lo ha fatto, non lo ha apprezzato. Se lo ha apprezzato, vista la sua corrente di pensiero, non lo ha capito.
In Lupo Alberto avete mai affrontato il tema della mascolinità tossica? Se la risposta è no, pensate prima o poi di affrontare questo tema?
Come ti accennavo nella prima risposta, non penso il tema sia mai stato trattato esplicitamente, ma viene fatto continuamente nel modo meno didascalico possibile. Il personaggio di Enrico rappresenta una vastissima gamma di atteggiamenti che solitamente attribuiamo al concetto di mascolinità tossica: è un truffatore, gaslighter, maschilista e approfittatore. Nonostante questo, viene spesso visto come un personaggio “positivo”, ma perché banalmente ci fa ridere. E’ anche questo il bello di questo tipo di personaggi e di questo tipo di serie a fumetti, ci si trova a ridere per delle situazioni che nella vita quotidiana non farebbero ridere affatto.
In ambienti molto degradati la cultura viene vista come qualcosa di non molto mascolino, ad esempio chi scrive come te o come il sottoscritto, potrebbe essere tacciato da alcuni di essere poco virile. Secondo te perché questo pregiudizio?
Ti dirò, non serve andare in contesti “degradati” (anche qui, bisogna vedere cosa si intende, è un termine che significa tutto e niente) per notare come la cultura non viene vista come qualcosa di virile. Sono andato al Liceo nel pieno centro di Roma, in un contesto di gente molto più altolocata di me economicamente parlando, e anche lì lo sportivo aveva una rispettabilità e una virilità di gran lunga maggiore rispetto al fumettaro che ero io. Quello che personalmente ho imparato crescendo è che la virilità nel pratico non esiste: esistono bolle di persone, nelle quali si può avere o meno una certa rispettabilità. In certi contesti parla l’impegno, in altri l’atteggiamento, in altri la prepotenza. Questi ultimi sono quelli che tendiamo a definire “virili”.
Un uomo che affina la sua sensibilità artistica in che cosa potenzia la sua virilità?Personalmente sono dell’idea che un uomo che affina la sua sensibilità artistica non potenzia affatto la sua virilità, anzi, la allontana. Una volta che ti liberi del fardello della virilità, puoi abbandonarti a quello che davvero l’arte è, ossia ammissione di debolezza e di sofferenza. Scrivere, comporre, disegnare, sono tutte attività imbevute di sofferenza, ma non di disperazione: la sofferenza è consapevolezza del mondo che ci circonda e della sua bellezza, ed è ciò che ci spinge a fare quello che amiamo davvero, non per allontanarla ma per renderla una parte positiva della nostra quotidianità.
Sei nato e cresciuto a Roma, quali sono stati i modelli di uomo e di donna che hai avuto?
Roma è una città molto particolare, puoi trovarci il meglio del meglio e il peggio del peggio. Come accennavo prima, soprattutto in età adolescenziale, la cultura maschilista e la cosiddetta “legge del più forte” le ho accusate parecchio, ma mi è bastato finire le scuole per ritrovarmi in contesti in cui questo tipo di situazioni erano sporadiche se non inesistenti. I modelli positivi di uomo che ho avuto li ho trovati negli amici che mi sono fatto dopo quel periodo, uomini sensibili, apertissimi alle proprie debolezze, con trascorsi (e presenti) fortissimi dai quali hanno tratto tanta forza e consapevolezza. Stesso discorso vale per i miei modelli di donna: amiche, la mia ragazza, mia madre, sono tutte persone che hanno tratto dalle peggiori esperienze le migliori lezioni. Credo che questi siano modelli positivi che tutti, in un modo o nell’altro, dovremmo ricercare.
In che cosa secondo te la nostra società censura gli uomini?
Mi sembra di dire una banalità, ma è appurato che sia così: la cosa che gli uomini non possono fare per davvero è essere deboli. Siamo sobbarcati di un carico emotivo molto forte, che potrebbe esserlo molto meno, se potessimo sfogarci e ammettere la nostra debolezza. Personalmente, non accuso più molto questo problema, le persone che frequento, sia nella vita, che in amore, che sul lavoro, mi mettono sempre a mio agio. Come accennavo prima, però, durante l’adolescenza non è stato così. L’evento che definitivamente mi ha fatto capire che sentirsi male non è solo legittimo, ma è a piccole dosi anche sano, è stata la morte di mio padre. Quando vedi l’abisso, in un certo qual senso, scopri che alla realtà hai fino a quel momento applicato un filtro, un colore, che in realtà non le appartiene. Tolto quel filtro, vengono meno tante convenzioni sbagliate che hai dato per assodate molto a lungo. Capirlo mi ha reso, per assurdo, molto più sereno.
Noi ci siamo conosciuti sui social per la scomparsa di mio padre e tu mi hai accennato del tuo. Che rapporti avevi con lui? Quali sono i valori che ti ha trasmesso?
Ti faccio di nuovo le mie sincerissime condoglianze, stai vivendo un momento cruciale. Non mi è ancora mai capitato di parlarne pubblicamente, forse fino a poco tempo fa non ci sarei neanche riuscito. Mio padre se n’è andato ormai un anno e mezzo fa, e non c’è stato ancora un singolo momento in cui non ho pensato a lui. Era un uomo incredibile. Scriveva per il cinema, era lo sceneggiatore dei Manetti Bros, e in passato ha scritto anche lui tantissimi fumetti. Mi ha insegnato tutto. Abbiamo passato giornate intere a parlare di quali dovrebbero essere le caratteristiche di una bella storia. Quando parlava del suo lavoro aveva una luce negli occhi che non ho mai visto in nessun altro. Non ha mai smesso di lavorare, neppure in ospedale quando è stato male. Non so descrivervi quanto sia stato doloroso perderlo, e quanto è tutt’ora straziante non averlo più intorno. Ti racconto un breve aneddoto: io e mio padre condividiamo la passione per Nick Cave da quando andavo ancora alle elementari, era la prova tangibile della profondità del nostro rapporto. Nick Cave ha perso un figlio nel 2015, e da allora la sua poetica è diventata un vademecum imprescindibile di come si dovrebbe affrontare il lutto, è qualcosa di fuori dal mondo. Papà adorava sentir parlare e cantare Nick Cave su questa tematica, era profondamente ammirato da quanto un uomo potesse rialzarsi da un’esperienza così traumatica grazie al pensiero. Quando è morto papà sono stati proprio gli scritti di Nick Cave, che tanto avevamo letto insieme, a tenermi con i piedi per terra. C’è una citazione specifica, tratta da uno di questi testi, che riassume perfettamente quello che si prova: “There is love, there is grief. That’s the deal, that’s the pact.” So quanto stai soffrendo, ma non è incredibile come ci si renda conto, contestualmente, di quanto profondamente siamo in grado di amare?
Un’ultima domanda: come dovrebbe essere secondo un padre oggi?
Per quel che può valere il mio parere, credo che un padre, come una madre, abbia per assurdo un solo grande dovere che li raccoglie tutti: deve comprendere l’animo di suo figlio. Capirlo, non giudicarlo. Capire perché fa certe cose, belle o brutte che siano. Fatto questo, il dovere si trasforma, e diventa mantenere quella comprensione, con tutte le difficoltà del caso. Non voglio assolutamente dire che non bisogna mettere limiti, anzi, tutt’altro. Ma c’è un perché per qualsiasi cosa, e capito questo – ma vale per qualsiasi altro contesto, non solo per quello genitoriale – credo che capire le persone diventi molto più facile.
(1 ottobre 2023)
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