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La colpevolizzazione della vittima che fa sentire innocenti

di Giuseppe Sciarra

Una società che si dica civile dovrebbe imparare dai propri errori e non giustificare o coprire mai la violenza. Una società che si dica civile dovrebbe tutelare le persone da qualsiasi tipo di attacco e fare muro affinché chi ha subito un determinato sopruso non debba subirne uno ben peggiore: quello del biasimo e della giustificazione a tali violenze da parte degli altri. Questo è anche più vero se si parla di vittime.

La società ideale non esiste e non esisterà mai, ma rendersi conto che una persona è stata vittima di una qualsiasi forma di abuso ed esprimere a essa solidarietà e comprensione, non solo è un atto di civiltà ma di umanità e intelligenza.

Molti casi di cronaca italiani degli ultimi anni stanno facendo emergere un dato sconcertante grazie al fenomeno degli haters, (gentuzza che dietro una tastiera si arroga il diritto di esprimere un odio marcio, becero, frutto di ignoranza e stupidità imbarazzanti), contro vittime di femminicidio, omofobia, bullismo, xenofobia, razzismo e violenze sessuali. L’ultimo caso eclatante è quello della ragazza di Palermo stuprata da un branco di sette subumani – a voler essere gentili nel definire chi reca violenza ad altri con tanta viltà e mostruosità – che si trova in una comunità protetta dopo gli attacchi d’odio subiti (oltre alla violenza).

I leoni da tastiera hanno attaccato la vittima con i soliti e squallidi “te la sei cercata” o “l’hai voluto tu”. Commenti sconcertanti che mi lasciano atterrito. Ma come è possibile che la vittima non sia percepita come tale? Con che coraggio l’accusano di essere responsabile? Commenti così meschini illustrano il fallimento della nostra società in termini di umanità, civiltà e istruzione (anche se ci sono persone colte che possono dire cose altrettanto ignobili pure se istruite).

Recentemente su YouTube sono incocciato nei commenti a un video del funerale della 52enne Rossella Nappini, l’infermiera romana uccisa nel quartiere Trionfale della capitale. Fermato per l’omicidio un uomo, Adil Harradil, 45 anni, marocchino. Un utente in particolare nei commenti – ma ce ne erano altri – colpevolizzava la vittima con frasi volgari e squallide sulla sua presunta disponibilità verso uomini non italiani. Anche in questo caso a venire colpevolizzata è la vittima nonostante sia stata uccisa.

Recentemente l’attore Can Yaman, noto più per la prestanza fisica che per le reali capacità attoriali, ha aggredito una commerciante durante le riprese della nuova fiction che sta girando. Hanno dovuto fermarlo in quattro. Molte donnine e donnette sul web l’hanno difeso e hanno schernito la vittima, banalizzando un attacco violento – stiamo parlando di donne che sminuiscono un tentativo di violenza verso un’altra donna (ormoni a palla?) perché a farlo è stato un bonazzo. Quando una violenza passa dal piano privato a quello pubblico e i panni non si lavano in famiglia, si ha la sensazione di dare a molti tanto fastidio. Anche se ti hanno insultato, pestato, ammazzato, la pietas cristiana di cui si riempie la bocca tanta gente va a farsi benedire per lasciare lo spazio all’odio più ottuso e immotivato, invece di esprimersi nel sostegno alla vittima.

Perché spesso la vittima è così osteggiata e si preferisce mettere alla gogna lei piuttosto che i carnefici? Forse perché la vittima con la violenza subita si fa portatrice dell’atto di far uscire gli scheletri dagli armadi di tante “brave persone”, andando a minare le loro certezze e mostrando loro chi sono in verità i mostri? Chi giustifica uno stupro, stuprerebbe o forse ha già stuprato? Chi giustifica un omicidio, probabilmente ucciderebbe? Giustificare la violenza e colpevolizzare la vittima è violenza. Diventi colpevole in egual misura tanto quanto chi è colpevole dell’atto perpetrato.

E con questo articolo lo vogliamo ricordare e non lasciare sentire impuniti e giustificati chi si esime da corresponsabilità.

 

 

(10 settembre 2023)

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