Pubblicità
21.2 C
Roma
15.7 C
Milano
PubblicitàCaffè Italiano

GEOPOLITICA

Pubblicità
HomeSocietàIntellettuali e brothers in arms

Intellettuali e brothers in arms

di Vanni Sgaravatti

Credo, come tanti altri prima di me, che il rapporto tra cognizione del proprio sé, del collettivo sociale di presunta appartenenza e delle relazioni tra le due entità, informi la visione di un uomo ed i suoi ideali, sia in una dimensione normale, che, ovviamente, patologica.

La capacità di distinguere la cognizione tra due entità non sovrapponibili, il sé individuale e il sé sociale, ma di mantenere la relazione tra i due sé e questo nei diversi ruoli che questo assume: l’osservatore e l’osservato, permette di mantenere un comportamento non patologico, relativamente ad una potenziale armonica relazione di gruppo in una specie che, contrariamente alle altre specie animale, dà un nome ad ogni individuo di una specie.

Le situazioni portate al limite ci permettono di capire e forse di prevenire gli orrori che questi limiti comportano. Come è noto, il limite raggiunto da Hitler e dalla nascita del nazismo rappresentano, da molti anni, l’occasione per una riflessione profonda sulla cognizione alla base del rapporto tra visione politico sociale e percezione del proprio contributo.

La nascita del nazismo in Germania è stata preceduta da una storia che ha origini antiche, a partire dalla peste nera, dal degrado e ricostruzione sociale successiva, dall’emersione di due linee quella protodemocratica delle lotte contadine e quella della nazionalista, purificatrice, ma restauratrice del pensiero di Lutero. A cui seguì la guerra di religione, quella dei trent’anni, con devastazioni sociali talmente grandi e profonde da lasciare il popolo tedesco privo di una cultura, pervaso dalla rinascita della servitù della gleba e dell’abitudine ad obbedire ai principi che si risollevarono da quelle ceneri.

Ma, in tempi più vicini, ci sono stati intellettuali e filosofi che portarono avanti l’idea della purezza, dell’autoritarismo: Kant, Fichte e poi dell’antisemitismo e del razzismo della razza ariana superiore, come Chamberlain e Gobineau. Tutti con una grande presa su una società che veniva pervasa dalla rivoluzione industriale premiante dall’uomo lavoratore, irreggimentato, conforme alla Prussia degli Hoenzollern.

Per capire bene l’influenza di quel contesto sul pensiero nazionalsocialista basta citare due filosofi tra i più famosi. Alla conferenza di Berlino Hegel espone la teoria degli eroi: “Essi si possono chiamare eroi giacché i loro propositi, la loro vocazione non derivano dal calmo e regolare corso delle cose sanzionato dall’ordine esistente, bensì da una fonte segreta, da quello spirito interno, ancora nascosto sotto la superficie che preme sul mondo esterno come si di un guscio e lo spezza.

Tali furono Alessandro, Cesare, Napoleone, che erano uomini pratici e politici nel contempo. Erano uomini di pensiero capaci di comprendere le esigenze del loro tempo, che era maturo per ulteriori sviluppi.

Erano in possesso della verità vera, di quella valida per la loro epoca, per il loro mondo. Era loro la missione di intuire questo principio nascente, questo passo in avanti immediato e necessario che il loro mondo doveva fare; farne il loro fine e consacrare le loro energie al conseguimento di tale fine gli uomini della storia universale, gli eroi di un’epoca vanno pertanto considerati come dei veri veggenti, le loro parole e i loro fatti sono i più alti della loro epoca.”

E Nietzsche scrisse: “Gli uomini forti, i veri signori, ritrovano la coscienza pura delle bestie da preda, mostri felici, essi possono tornare da una spaventosa serie di omicidi, di incendi, di violenze carnali, di torture, col cuore pieno di gioia, con la stessa soddisfazione dell’anima di chi ha partecipato a una baldoria di studenti. Se un uomo è capace di comandare, se è per natura un signore, se è un forte nei suoi atti e nei suoi atteggiamenti, che importanza può dare ai trattati?”.

Per giudicare della moralità in modo giusto e necessario sostituire a questo concetto due concetti tratti dalla zoologia: l’addomesticamento di una bestia e l’allevamento di una nuova specie.

Hitler da questi autori trasse il principio che un genio investito di una missione sta al di sopra di ogni legge, non è tenuto a rispettare la morale borghese. Così quando per Hitler venne il momento di agire quella dottrina poté giustificare gli atti più crudeli commessi a sangue freddo: la soppressione della libertà dell’individuo, l’imposizione brutale del lavoro forzato, gli orrori dei campi di concentramento, il massacro dei suoi propri sostenitori nel giugno 1934, il trucidamento dei prigionieri di guerra e lo sterminio in massa degli ebrei.

È sulla base di queste riflessioni, che quando non fossimo nelle barricate o non dovessimo operare concrete scelte per cui vale la parte in cui ti schieri, ma ragionassimo con parole ed intelletto (intellettuali), mi piace mettere in luce contraddizioni del nostro pensiero ed individuare l’acqua in cui noi pesci nuotiamo. In altre parole, il contesto culturale da cui possono nascere mostri.

E questo, non certo per fornire attenuanti generiche e genetiche nelle frasi giudicanti che pronunciamo, anche se non necessariamente vogliamo fare i giudici, ma per riuscire meglio a prevenire comportamenti devianti.

Se persino nei tempi in cui la comunicazione non era social, né globale la fonte della verità delle convinzioni politiche derivava da storpiature o estrazioni di tesi fuori dalle teorie intellettuali da cui furono estratte, immaginiamo nei tempi contemporanei delle fake news, se mai sia possibile un confronto sulla base di argomentazioni e significati scambiati da pesci che nuotano in acque diverse.

Allora, non rimane altro che porre un limite alla tolleranza verso gli intolleranti, piantando una bandiera su quel limite da presidiare e difendere, cari “brothers in arms”, da qualsiasi parte stiate.

 

 

(7 maggio 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Pubblicità

LEGGI ANCHE