di Lonsito De Toledo
Alla fine ha vinto lui. Ma va? Andrea Bajani si porta a casa il 79° Premio Strega, e il mondo dell’editoria italiana può tirare un sospiro di sollievo: è andato tutto secondo copione. Nessun colpo di scena, nessun outsider da celebrare in zona Cesarini. Il romanzo si intitola L’anniversario – nomen omen – ed esce, guarda un po’, per Feltrinelli, che proprio quest’anno spegne settanta candeline. Coincidenze? Ma no, solo buon senso editoriale, quella sottile arte di esserci sempre al momento giusto, con il libro giusto, scritto dalla persona giusta, sponsorizzata dalla casa editrice giusta, candidata dal gruppo di lettura giusto.
Il romanzo ha convinto la critica, ha avuto il suo bel riscontro di pubblico, e su questo non c’è nulla da eccepire. Però aleggia nell’aria quella fragranza familiare – un mix tra verbena e prevedibilità – che accompagna le edizioni dello Strega quando si ha l’impressione che più che una gara sia una processione. Con tanto di portatori, incensieri, e saluti istituzionali.
Gli altri finalisti? Bravi, certo. Utili per il dibattito, necessari per le foto di gruppo, fondamentali per simulare l’incertezza. Ma alla fine il premio era già stato apparecchiato, con tovaglia di lino e segnaposto d’argento. In fondo, lo Strega è un termometro perfetto: non misura la febbre della letteratura italiana, ma quella delle sue parentele.
In realtà, lo Strega non è più un premio letterario da anni. È un palinsesto. Una serie a puntate in onda da aprile a luglio, con picchi di ascolto durante la sestina finale e lo share alle stelle la sera della premiazione al Ninfeo di Villa Giulia, tra zanzare aristocratiche e prose smaltate. I libri sono solo la scenografia. I veri protagonisti sono le cordate, i comunicati stampa, le ammiccate sui social, gli editoriali sui giornali “amici”, le tavole rotonde dove si finge neutralità ma si sa benissimo chi “deve” passare e chi no.
Feltrinelli, da navigata dama di compagnia dell’editoria, ha giocato d’anticipo. Nessuna ostentazione, solo una sicurezza disarmante. D’altra parte, i compleanni tondi non si festeggiano con le candeline: si celebrano con un premio Strega sotto braccio e un bel brindisi da far girare nei corridoi redazionali. In confronto, gli altri editori sembravano portare romanzi come regali a una festa dove sapevano già chi era il festeggiato.
E in tutto questo, la letteratura? Lei guarda da lontano, con un bicchiere mezzo vuoto, un po’ nostalgica dei tempi in cui vincevano libri scritti per necessità, e non per opportunità. Non che L’anniversario non sia ben scritto – Bajani sa tenere la penna come si tiene un coltello da cucina, affilato e lucido – ma la domanda resta: cosa premia davvero lo Strega? Il miglior romanzo? O la miglior campagna?
Intanto, là fuori, c’è chi scrive nel silenzio, chi pubblica con editori invisibili, chi spedisce manoscritti che nessuno leggerà. Ma nessuno li inviterà a Villa Giulia. Al massimo, riceveranno una copia digitale del bando per l’anno prossimo. Così, giusto per illudersi ancora un po’.
I giurati, già. I 660 Amici della Domenica, che ormai non si sa più se siano amici, se leggano davvero la domenica o se siano semplicemente abbonati alle collane di punta delle major editoriali. Molti votano in perfetta buona fede, certo. Altri seguono la linea editoriale come un funzionario di partito d’epoca sovietica: senza entusiasmo, ma con assoluta disciplina. Del resto, nella repubblica delle lettere italiane, si vota con il cuore, ma si firma con la penna che ti ha pubblicato.
E così si vota. Si vota perché “è ora che vinca una donna”, perché “quel libro l’ha proposto Pippo”, perché “dai, non possiamo far vincere lo stesso editore due volte di fila”, o perché “me lo ha chiesto Tizio, e gli dovevo un favore da due premi fa”. Il romanzo? Letto per metà. Oppure no. Ma se ne è parlato tanto, no? Allora qualcosa vorrà dire.
Il giorno dopo la proclamazione, il vincitore fa il giro dei salotti televisivi, mentre le classifiche impazziscono e l’ufficio stampa si fa il segno della croce con le royalties in mano. C’è chi lo compra per leggerlo davvero e chi lo piazza in bella vista nel salotto, accanto all’ultimo Ferrante e al premio Campiello dell’anno precedente. In fondo, il romanzo vincitore dello Strega è il passaporto culturale per chi vuole sentirsi intellettuale senza leggere troppo. Basta sfogliarlo in pubblico, citarne un paio di frasi a cena, e il gioco è fatto.
Ma dopo due mesi, L’anniversario smette di essere un libro: diventa un’etichetta. Nessuno lo discute più, nessuno lo mette in relazione con le tendenze narrative del momento. È già tempo di selezionare i candidati per l’anno prossimo. Gli agenti si muovono, i salotti riallacciano trame, i romanzi iniziano a essere scritti con in mente non il lettore, ma la cinquina.
E la letteratura, di nuovo, resta a guardare. Sottovoce, ma non muta. Forse sta scrivendo qualcosa proprio ora, in un angolo. Qualcosa che non vincerà nulla, ma che ci resterà tra le mani molto più a lungo. Come una piccola vendetta silenziosa.
Ci vediamo l’anno prossimo. Con un altro anniversario, un altro romanzo, un’altra profezia che si avvera.
E la sensazione, sempre più netta, che lo Strega non lo vinca il libro migliore. Ma quello con il miglior ufficio stampa.
(4 luglio 2025)
©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata