Pubblicità
6.3 C
Roma
-0.1 C
Milano
PubblicitàCaffè Italiano

GEOPOLITICA

Pubblicità
HomeCinema"Anche voi diventerete fascisti!"; a imbestialirsi di più quelli che forse un...

“Anche voi diventerete fascisti!”; a imbestialirsi di più quelli che forse un po’ lo sono già

di Fabio Galli

L’Italia ha visto qualcosa di mai accaduto prima: un minuto di silenzio imposto dalle tv. Non un blackout tecnico, ma un promo. Alle 20.45, tutti i principali canali nazionali – Rai, Mediaset, La7, Discovery, Tv8 – e persino le radio più seguite hanno interrotto la loro programmazione per trasmettere il lancio di “M – Il figlio del secolo” (in arrivo il 10 gennaio su Sky e NOW). Per sessanta secondi, l’access prime time è stato colonizzato da Benito Mussolini, o meglio, da Luca Marinelli nei suoi panni, in un discorso alla nazione che ha travolto pacchi, telegiornali, talk show e perfino i sorrisi di Striscia la Notizia.

L’impatto, come prevedibile, è stato quello di una bomba. Dopo le dichiarazioni di Marinelli – “Interpretarlo è stato doloroso” – che avevano già fatto esplodere il solito teatrino politico, questa mossa pubblicitaria ha alzato ulteriormente la posta. La clip, breve e potentissima, mostra il futuro Duce fondare i fasci di combattimento nella storica riunione del 1919 in piazza San Sepolcro a Milano: “Oggi nasce il fascismo!” dice Marinelli con uno sguardo febbrile, mentre la macchina da presa lo stringe sempre più.

E poi arriva la provocazione finale: il Mussolini di Marinelli rompe la quarta parete, si volta verso lo spettatore e, con un ghigno, sibila: “Il fascismo è una creatura bellissima fatta di sogni, ideali e coraggio. Anche voi diventerete fascisti!” Una frase che fa rabbrividire, studiata per scuotere, dividere e far discutere. E ci riesce, perché nessuno stasera ha potuto ignorarla.

L’effetto è devastante. Sui social, esplode un dibattito infuocato: c’è chi grida allo scandalo, chi applaude il coraggio artistico e chi, come al solito, si affida alla solita retorica del “non parlate di queste cose, così le normalizzate”. Il promo di M – Il figlio del secolo non è solo un messaggio pubblicitario: è un esperimento sociale travestito da operazione di marketing. È una provocazione che punta il dito sul nostro rapporto con la memoria storica e con l’ambiguità del fascino del potere.

Da una parte, il pubblico viene sedotto dalla figura di un Mussolini magnetico, interpretato da Marinelli con un carisma disturbante; dall’altra, quel ghigno e quelle parole finali sono un pugno nello stomaco. Cosa significa sentirsi dire “Anche voi diventerete fascisti” oggi, in un’Italia che ancora si divide sul passato e sui simboli? È un’accusa? Un avvertimento? O una profezia inquietante?

Intanto, le reazioni politiche non si fanno attendere. Matteo Salvini twitta furioso: “Vergognoso utilizzare il Duce per scopi pubblicitari. Questa non è arte, è provocazione di sinistra!” Dall’altra parte, Elly Schlein invita alla calma, definendo il promo “un invito a riflettere su come nascono le derive autoritarie”. L’opinione pubblica si polarizza, come sempre.

Ma al di là delle polemiche, resta una domanda: quanto di quello che abbiamo visto nel promo parla solo del 1919 e quanto, invece, parla di noi, di adesso? Forse, la forza di questo adattamento sta proprio qui: nell’obbligarci a guardare il passato come uno specchio, in cui i riflessi sono disturbanti ma impossibili da ignorare.

La serie TV tratta da M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati è approdata su Sky. L’autore ha spesso ribadito pubblicamente che il suo Mussolini non è stato solo un politico, ma un seduttore e traditore seriale, capace di affascinare gli italiani di allora più con il suo carisma che con l’ideologia fascista in sé. Questa interpretazione emerge chiaramente già nella prima puntata, che sembra aderire pienamente alla tesi centrale del romanzo.

Dal punto di vista visivo, la serie si distingue per la sua sapiente ricostruzione estetica: richiama l’espressionismo cinematografico e i toni visivi del cinema muto, evitando il banale bianco e nero neorealistico alla Cortellesi. Il risultato è un mix potente di tragico, grottesco e retorica, che ricorda l’atmosfera dei film di Murnau. La fedeltà ai riferimenti storici appare rigorosa, almeno per quanto riguarda i fatti, anche se la caratterizzazione psicologica dei personaggi, Mussolini in primis, sembra essere frutto di un’interpretazione soggettiva. L’attore che interpreta M. offre una prova intensa, sebbene a tratti eccessivamente teatrale, ma forse è una scelta funzionale per rompere la quarta parete.

Certo, trasmettere una serie del genere oggi è una scelta coraggiosa. Resta il dubbio su quanto possa coinvolgere il pubblico, specialmente i più giovani abituati a ritmi serrati e narrazioni supertecnologiche. Probabilmente non mancheranno critiche, sia da parte dei nostalgici che dei puristi storici, ma si tratta pur sempre di una trasposizione romanzata basata su fatti reali.

Siamo a un secolo di distanza dall’epoca di Mussolini, ma non posso fare a meno di percepire un’eco inquietante: una sorta di infezione sociale che si diffonde tra smarrimento, disgregazioni e un’ossessiva ricerca di potenza. Non stiamo uscendo da una guerra mondiale, ma viviamo in un mondo costellato di conflitti, in un clima che ricorda, per certi versi, le tensioni di quel periodo storico.

Questa sensazione di déjà-vu storico, questa “infezione” che serpeggia nella società contemporanea, non è solo una questione di analogie politiche o culturali. È piuttosto un riflesso di una condizione umana ciclica, un ripetersi di dinamiche che emergono ogni volta che le certezze vacillano e le strutture collettive mostrano crepe profonde.

Nel periodo di Mussolini, l’Italia era attraversata da un senso di smarrimento, un terreno fertile per chi sapeva manipolare paure e ambizioni. Oggi, anche senza le stesse condizioni materiali, vediamo leader capaci di intercettare le stesse emozioni: l’incertezza economica, la ricerca di identità, il fascino per la forza come illusione di stabilità. È come se la storia, invece di progredire linearmente, facesse dei cerchi, cambiando costumi e linguaggi ma lasciando intatti i nodi profondi.

La serie, con la sua scelta estetica e narrativa, sembra volerci costringere a guardare indietro per capire il presente. Non è solo un viaggio nella storia, ma un monito. C’è un parallelismo non dichiarato, ma evidente, tra il carisma di Mussolini e quello di certi leader contemporanei, tra la propaganda di allora e l’ipercomunicazione digitale di oggi. E in questo senso, la serie potrebbe essere più politica di quanto non voglia apparire: ci costringe a riflettere su quanto siamo disposti a lasciarci sedurre, a chiudere un occhio sull’etica in nome del “bene comune” o di una presunta rinascita.

Ma siamo davvero così diversi dagli italiani di allora? La differenza, forse, sta nella consapevolezza che dovremmo avere, nella possibilità di riconoscere certi meccanismi prima che diventino irreversibili. Guardare questa serie non è solo un atto estetico o culturale: è anche un’opportunità di confronto, di analisi di un passato che, in fondo, è meno lontano di quanto vorremmo credere.

 

 

(10 gennaio 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Pubblicità

LEGGI ANCHE