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L’uomo burocrate: Sacerdote o Virgilio?

di Vanni Sgaravatti

La burocrazia è connaturata alle caratteristiche sociali dell’homo sapiens, alla sua capacità di comunicare pensieri simbolici per rendere coesi grandi gruppi, i cui membri non si conoscono tra loro. La burocrazia è una parola che trae origine da bureau, cassetti e si fonda su un modo di conoscere la realtà raggruppando gli “oggetti” in categorie, che sono definite proprio dalle regole che permettono di capire chi appartiene ad una categoria e chi no.

Anche se si fonda su un processo cognitivo utilizzato persino per trovare facilmente una mela individuando il melo, possiamo fare esempi di categorie più pertinenti al discorso sull’utilizzo sociale della classificazione, come: il ricco, il povero, l’indigente, il disabile, lo straniero, l’uomo pericoloso per la società. Ogni comunità nelle varie epoche darebbe regole diverse per l’attribuzione di un individuo ad una di quelle classi, espressione del sistema culturale tipico di una comunità. Ma un problema che, in modo particolare, emerge nell’era moderna e industriale è costituito dalla tendenza a considerare le regole burocratiche e la relativa strutturazione in categorie della realtà percepita, come la rappresentazione della realtà vera e oggettiva, invece di essere consapevoli del carattere intersoggettivo e, quindi, convenzionale di quelle regole e di quelle categorie.

I burocrati, allora, nel primo caso tenderebbero ad indentificarsi nella struttura burocratica come la fonte della verità fino a recitare inconsapevolmente il ruolo di sacerdoti, detentori del “verbo” burocratico. Un’identità che talvolta soffoca e talvolta rassicura. Mentre nel secondo caso, i burocrati considererebbero le regole come elementi di ordine e di configurazione sociale, in quanto tali necessarie, ma nei confronti delle quali tendono a considerarsi dei “Virgilio”, che aiutano a navigare l’individuo, il cittadino, non più visto come un soggetto contrapposto da educare o a cui impartire istruzioni.

E, inoltre, sembra più facile che il “sacerdote” depositario delle regole burocratiche tenda a difendere quel sistema, non riuscendo neppure ad immaginare di poterlo modificare, al contrario di coloro che, pur accompagnandoti nel mare della burocrazia, di fronte alle assurdità dell’applicazione di certe regole, possono perfino sognare il cambiamento, accettando, l’ignoto che questo comporta.

La burocrazia, comunque, è stato uno strumento che ha creato coesione e ha contribuito ad uno sviluppo, quando è stata sostenuta da una visione e da valori condivisi, in grado di dare un senso a regole, altrimenti meccaniche e senz’anima.

Nell’era contemporanea, il problema di trovare quella visione e quei valori si complica, perché con la globalizzazione anche i problemi diventano globali, come, ad esempio, il risparmio climatico e, proprio per questo, le soluzioni richiederebbero un supporto in una morale altrettanto globale, un obiettivo da cui pare ci allontaniamo sempre di più.

Il problema della burocrazia, come struttura che dovrebbe attuare una visione diventa in quest’epoca contemporanea, una questione centrale e sempre più seria, che può avere un significato diverso a seconda se un sistema, giunto ad un punto di biforcazione, pende verso il baratro e la notte delle democrazie oppure aiuta a trovare una possibile via verso un altro rinascimento. Ma la burocrazia delle élite democratiche sembra essere stata percepita da una maggioranza delle persone dei paesi ad alto reddito, al servizio della disuguaglianza, segno del fallimento di quella classe dirigente, rappresentante di una globalizzazione che ha lasciato indietro troppe persone e che ha indotto molti a rinunciare alla libertà di lottare per rivedere quelle norme e regole, per affidarsi piuttosto ad nuovo leader che le spazzasse via.

In Cina, la burocrazia è lo strumento di un’oligarchia in cui la visione ed i relativi valori sono determinati dall’alto e da pochi, così come i modelli di governance, adottati da tutti i leader populisti inizialmente promotori di una lotta contro quella classe dirigente privilegiata, spacciandosi per rappresentanti del popolo “vero e autentico” e proprio in virtù di questa convinta propaganda, di fatto portatori di un’ideologia anti-pluralista. Ma anche in quei paesi, considerati democratici, avanza, quindi, una struttura burocratica che diventa una maglia di ferro che sovrasta l’etica umana e che si impone come unica realtà a cui lo stesso popolo si deve adottare. Un sistema diviso in due parti: i detentori della visione produttori di narrazioni che ne legittimano il potere ed il “popolo”, che, però, orientato alla conformità normativa entrerà in competizione con l’intelligenza artificiale, un concorrente molto potente per gli uomini, ridotti a macchine.

Dallo sguardo sui massimi sistemi e sulle tendenze future, possiamo comprendere nel concreto cosa significa il dolore burocratico del presente.
È intenso e doloroso quando non permette ad una persona di accedere ad un proprio diritto e, grazie a questa mancanza di non poter vivere una vita dignitosa.
È emarginante e discriminante quando ti fa sentire di appartenere ad una terra straniera.
È amaro e deprimente quando incide sul benessere della tua vita quotidiana, distraendoti dalla ricerca del senso della tua vita.

Naturalmente, il dolore burocratico investe in mondo molto più doloroso i più fragili, come, ad esempio, gli stranieri ed indigenti, che si perdono nei nostri labirinti di norme e regole:

  • senza residenza non ho permesso di soggiorno, senza permesso di soggiorno non ho residenza;
  • senza residenza non posso cercare lavoro, senza lavoro non posso avere permesso di soggiorno, senza permesso non ho residenza;
  • senza residenza non ho un medico, senza un medico non posso certificare disabilità, non posso avere un supporto né iscrivermi a categorie protette, faccio più fatica a trovare lavoro, e non riesco a rinnovare il permesso e non ho residenza e quindi non ho un medico;
  • se sono senza fissa dimora posso avere un medico, ma se sono ospite da qualcuno, non sono senza fissa dimora e quindi non posso avere la residenza fittizia;
  • se faccio domanda di una casa popolare la ottengo solo se ho un Isee molto basso, ma se trovo lavoro Isee si alza e non ho la casa e senza casa è difficile lavorare;
  • senza corso di italiano non posso avere il permesso, ma senza permesso non ho la residenza e non posso trovare un lavoro e se trovo dei lavoretti non posso andare al corso di italiano.

I servizi sociali cercano di porre rimedio a questi loop, con segnalazioni e certificazioni degli stati di bisogno, ma i tempi delle prese in carico, come si usa dire, raramente combaciano e i fantasmi girano per il sottosuolo. Questi diventano fantasmi che girano, minacciano, rompono le scatole agli operatori, gli ultimi della scala gerarchica, quelli che stanno al fronte, che vanno in burn out o per difendersi diventano aggressivi, non sono accoglienti e i fantasmi, emarginati e arrabbiati, si arrabbiano, molestano e diventano un problema di sicurezza. Poi qualcuno di quegli assistenti passa il confine immaginario e da assistito diventa assistente.

I volontari e i lavoratori del terzo settore, con fantasia, codici dei diritti alla mano, buona volontà, spesso incompetenza, cercano di porre rimedi, di trovare soluzioni, vivendosi spesso come un mondo a parte con il beneplacito di un mondo “normale”, grato per le pezze che i volontari portano, basta che siano, appunto, un mondo a parte. Volontari che sono ripagati dal sentirsi la parte buona di una società che tende a non cambiare.

E il mondo si divide sempre più, tra ricchi e poveri (disuguaglianza crescente), i primi infastiditi dai secondi, in un mondo che non si capisce più e in cui le visioni sono sempre il risultato di cognizioni parziali e frammentarie, unite dall’appartenenza di clan. E non rimane altro, per molti, che aggrapparsi alla certezza di alcuni potenti populisti che, rappresentanti dei ricchi si ergono a difensori dei privilegi perduti, di un mondo che fu e che probabilmente non è mai stato.

E altri ancora si aggrappano alla fede religiosa, ma spesso lo fanno per ritrovare una casa, una bandiera, qualcuno o qualcosa che dia certezze, ma senza quel doloroso e necessario percorso interiore, e, quindi, solo per ricerca di rimedi ai dolori esistenziali. E allora si diventa un fedele della Chiesa (il rappresentante) e non del contenuto che viene rappresentato (il Vangelo, ad esempio, per la Chiesa Cattolica). E il rimedio diventa talvolta peggiore del male, come si vede ancora meglio, quando vediamo riflessa questa tendenza nell’altro, il fanatico islamico. E non ci sono più arbitri indipendenti degni di fiducia, tutto diventa mainstream straniero e nessuno studia più, riflette, pensa sul proprio pensato, ma si aggrappa ai sentimenti di rabbia, consolandosi con sentimenti di appartenenza al proprio schieramento, nell’illusioni che quello sia il popolo vero di una realtà vera.

Good Morning Vietnam, oggi è un altro giorno e c’è molto da lavorare.

 

 

(27 novembre 2024)

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