Pubblicità
18.3 C
Roma
15.9 C
Milano
PubblicitàCaffè Italiano

GEOPOLITICA

Pubblicità
HomeCopertinaMaschile & Sciarra, Stefano Ciccone: “C’è chi considera il nostro impegno un...

Maschile & Sciarra, Stefano Ciccone: “C’è chi considera il nostro impegno un tradimento delle ragioni degli uomini, ma è vero il contrario”

di Giuseppe Sciarra

Tra i promotori dell’associazione, “Maschile Plurale”, un gruppo di riflessione critica sul mondo maschile che si batte contro la violenza e gli stereotipi di genere, autore di saggi come, “ Essere maschi: Tra potere e libertà” e “Maschi in crisi? Oltre la frustrazione e il rancore”, Stefano Ciccone ci ha rilasciato un’intervista dove ci ha parlato delle attività della sua associazione e schemi patriarcali duri a morire. Eccola di seguito.

Che cos’è Maschile Plurale?
Maschile Plurale è un percorso di uomini che hanno scelto di costruire un impegno contro la violenza nelle relazioni tra sessi e generi e contro ruoli e modelli stereotipati di genere. Oggi Maschile Plurale è un’Associazione nazionale ma nasce dall’incontro tra diversi gruppi locali.

Qual è il tipo di attività che svolgete nello specifico?
La nostra attività si può distinguere in tre dimensioni tra loro strettamente collegate. Un lavoro di confronto e condivisione in piccoli gruppi in cui condividere le proprie esperienze e le domande emergenti da queste esperienze. Un impegno pubblico, collettivo, come uomini, su questioni che ci chiamano in causa direttamente come la violenza contro le donne ma anche le discriminazioni di genere, l’omofobia, i modelli familiari … Il terzo ambito di lavoro è nella formazione degli insegnanti, degli operatori sanitari o delle forze dell’ordine portando il contributo di una riflessione critica sul maschile per arricchire i loro strumenti professionali e i loro percorsi di consapevolezza. Queste tre dimensioni sono, come dicevo, inscindibili: non si può prendere parola pubblicamente o “fare formazione” senza un percorso personale di consapevolezza. Non si tratta soltanto di “acquisire” contenuti ma di cambiare punto di vista su di sé e sul mondo.

C’è qualcuno che l’ha mai accusata di mettere in dubbio la vera essenza dell’identità maschile ponendola all’attenzione da altri punti di vista?
C’è chi considera il nostro impegno un “tradimento delle ragioni degli uomini”, ma è perfettamente il contrario. Il potere e il privilegio di cui noi uomini disponiamo sono indiscutibilmente reali. Molti uomini oggi si pongono in una posizione difensiva e reattiva, un atteggiamento vittimistico che considera il cambiamento come un attacco ostile agli uomini. Non si tratta di “cedere” potere e opportunità per volontarismo o buona educazione ma di riconoscere che quel potere e quel privilegio portano con sé una costrizione, una miseria nelle relazioni, un obbligo alla competizione e alla performance, una mancanza di autenticità nelle nostre vite. Ci chiamiamo “maschile plurale” anche perché pensiamo che non ci sia un solo modo di essere uomini e che liberarsi del modello “virile” tradizionale non voglia dire perdere la propria identità ma, al contrario, affermare la propria singolarità di uomo.

Nel corso degli anni che tipo di uomini ha incontrato nella sua associazione e quanto secondo lei si sono messi in discussione realmente entrando in contattato con la vostra realtà?
Ormai sono centinaia gli uomini che ho incontrato in questo percorso: chi si è solo affacciato, chi ha fatto un breve tratto di strada, chi ha vissuto conflitti e chi ancora oggi costruisce con noi un lavoro di confronto, ricerca e iniziativa. Negli incontri di maschile plurale ho visto una grande autenticità e un grande sforzo di ricerca e cambiamento. Con molte contraddizioni. Ma spesso proprio il confronto nel gruppo o la riflessione comune sono una risorsa per svelare le narrazioni di comodo che inconsapevolmente ci proponiamo. Non è, comunque, né un percorso iniziatico né terapeutico, è una pratica politica e personale di iniziativa, confronto e trasformazione. Senza nessuna mitizzazione possibile.

Non ricordo chi, qualcuno disse che gli uomini rispetto alle donne sono più conservatori. Che ne pensa di questa affermazione?
Come tutte le generalizzazioni è poco utile. Il femminismo mi ha insegnato a vedere come le stesse donne abbiano dovuto lavorare sul proprio conservatorismo, sul proprio attaccamento ai ruoli e modelli che il sistema patriarcale “offriva” loro come riferimenti identitari gratificanti che le legavano a un ruolo subalterno. È evidente che chi ha potere, privilegio e opportunità fa fatica a vedere i condizionamenti che lo legano e vive più facilmente nell’illusione di una libertà. Il problema mi pare sia soprattutto il luogo comune che vuole il cambiamento nei ruoli di genere, nei modelli familiari, nella sessualità e nelle relazioni come una mera minaccia per gli uomini. Se così fosse sarebbe naturale che volessero conservare lo status quo. Il nostro sforzo è mostrare il guadagno possibile per gli uomini nel cambiamento.

Alcune donne hanno affermato che non stimano un uomo che si cura di faccende che per secoli erano ad appannaggio del solo genere femminile. Ad esempio, la cura della casa o la divisione dei compiti sulla crescita dei figli. Secondo lei quanto sono forti le resistenze da parte di molte donne nella ridefinizione di un’identità maschile che vada al di là degli schemi patriarcali?
Sarebbe facile rispondere liquidando la banalità di queste affermazioni: sono parte di quel senso comune di cui parlavo e che rappresenta il cambiamento come una fonte di disorientamento, di perdita di identità degli uomini – “Signora mia, non ci sono più gli uomini di una volta”. Ma queste posizioni sono rivelatrici di due altri elementi di cui tener conto: il primo, che ho già citato, riguarda il fatto che il sistema patriarcale offra anche alle donne dei riferimenti e valori rassicuranti che ne imprigionano la libertà. E il secondo riguarda il fatto che i modelli di genere non si limitano a descrivere quali siano i ruoli e le attitudini complementari di donne e uomini (protettivi, razionali, assertivi, autonomi i primi e protettive, dipendenti, empatiche ed emotive le seconde) ma attribuisce anche una gerarchia di valore e prestigio a questi ruoli e a queste attitudini: una donna che si sa far valere, che si realizza nella professione o che si afferma in politica è “una con gli attributi”, un uomo che svolge funzioni tradizionalmente femminili ne viene sminuito, perde di autorevolezza perché le “cose da donne” sono meno dignitose. Una donna che cambia la gomma della propria auto non sarà per questo necessariamente meno “sexy”: un uomo che si prende cura dei propri figli lo chiamiamo “mammo”, un nome che non ne riconosce la mascolinità. Perché?

Come viene vista un’associazione come la vostra dai politici italiani? Dalle istituzioni avete un supporto?
Non abbiamo mai cercato un rapporto diretto con la politica in termini di scambio strumentale. Ma ci interessa dialogare con chi investe il proprio impegno in politica, come molti di noi. Crediamo che la politica sia anch’essa un luogo in cui gli uomini dovrebbero mettere in discussione i loro modelli e i loro linguaggi. Siamo stati spesso interpellati per costruire progetti e interventi di contrasto della violenza o di educazione e questo è un segno importante di consapevolezza di chi, nelle istituzioni, si rende conto che non bastano risposte repressive o normative che non affrontino il mutamento culturale necessario. Purtroppo una parte non marginale della politica ha scelto di scommettere sul rancore e il revanscismo maschile: si tratta di un fenomeno internazionale che va da Trump alla destra polacca per finire al rapporto strumentale, rappresentato da Pillon, con le associazioni di padri separati.

L’emotività maschile spesso si manifesta con la rabbia e la violenza. A monte c’è la censura dell’emotività fatta agli uomini dal patriarcato. Come si potrebbe uscire da questa forma mentis deleteria tanto per gli uomini tanto per le donne che debbono averci a che fare?
Si tratta di un cambiamento culturale profondo e dunque complesso e difficile: deve coinvolgere certamente la scuola ma anche la produzione culturale, l’immaginario, la comunicazione. Non basta quindi cambiare le regole, le norme, ma va fatto un lavoro sul piano dell’immaginario, dei desideri, delle paure, delle aspettative e rappresentazioni. Ma è un processo che prevede un conflitto. Sarebbe illusorio delegare alla scuola la produzione di una cultura della libertà, della valorizzazione delle differenze in una società che va in una direzione se non opposta molto differente.

C’è un mondo sommerso di uomini che subisce violenza psicologica o anche fisica dalle donne. Perché non si riconosce e non si condanna abbastanza questa forma di violenza che comunque può creare danni psicologici gravi nella vittima?
Credo sia necessario distinguere tra le dinamiche individuali, le relazioni patologiche, le dinamiche conflittuali, e quello che è un contesto sociale, un fenomeno di cui riconoscere le radici. Ci sono donne egoiste, uomini deboli, donna egoiste o uomini succubi? Certo. La rappresentazione angelicata delle donne o la loro riduzione a vittime e soggetti deboli è l’altra faccia della medaglia della negazione della loro soggettività. Ma gli uomini non hanno paura per strada, non vengono uccisi, non vengono reclusi nella libertà dei loro corpi. Proprio per affrontare la pluralità delle dinamiche conflittuali che viviamo nelle relazioni dobbiamo saperle leggere mettendole in relazione col contesto sociale che struttura le identità, i ruoli, le relazioni di potere, e questo ha un segno sessuato che non si può occultare.

Quali sono i suoi progetti futuri come attivista e cosa si auspica per il futuro nel rapporto tra gli uomini e le donne?
Oggi vedo ancora una certa diffidenza da parte di molte donne nel costruire una relazione politica con gli uomini che provano a mettere in discussione l’ordine patriarcale. Specie sul tema della violenza vedo il rischio di un ritorno indietro. Credo dovremmo andare oltre la logica della mera “alleanza” o collaborazione, della sommatoria di soggettività in conflitto con un ordine astratto, dovremmo comprendere come la libertà e i diritti di ognuno sia condizione per la libertà degli altri. Lo stigma verso l’omosessualità, la misoginia sono parte dei dispositivi che condizionano la mia libertà di maschio eterosessuale. Mi piacerebbe che si aprisse una stagione fondata su un’interrogazione reciprocamente trasformativa tra donne e uomini e tra persone con orientamenti sessuali e di genere e identità differenti. Non si tratta (solo) di conquistare diritti per chi non corrisponde alla norma ma di conquistare una diversa libertà per tutte e tutti.

 

 

 

(31 luglio 2023)

©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 





 

 

 

 

 

 

 



Pubblicità

LEGGI ANCHE