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L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma mancano i lavoratori….

di Silvia Morganti

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma a quanto sembra a mancare sono proprio i lavoratori. Ci sono ben 2 (due!) milioni di posti da coprire. Come è possibile? Le risposte più comuni a questa domanda sono due. “I giovani non vogliono lavorare” e “Tutta colpa del Reddito di Cittadinanza”.

Ma è veramente così? O forse i giovani, regolarmente sfruttati e sottopagati, reduci oltretutto da una pandemia, hanno delle necessità e delle urgenze nuove?

Per le nuove generazioni la priorità è quella di trovare un sano equilibrio tra lavoro e vita privata. Ed ecco spiegato il motivo del dilagante fenomeno del quiet quitting (abbandono silenzioso) che prevede di lavorare lo stretto necessario per mantenere l’impiego senza assumersi responsabilità che non rientrano nelle mansioni indicate dal contratto e di non fare straordinari. E la diffusione della filosofia del downshifting (semplicità volontaria, scalare marcia) cioè la volontà di godere del presente senza preoccuparsi troppo del futuro, rallentare la corsa frenetica verso un obiettivo che potrebbe (facilmente) risolversi in un miraggio. Filosofia che porta a preferire un salario inferiore a fronte di maggiore tempo libero per riprendersi la propria vita.

Ma soprattutto i giovani non vogliono più lavorare in condizioni che prevedono poche occasioni, basse retribuzioni, contratti brevi e precari, stage interminabili e perlopiù infruttuosi. Sono stanchi di affannarsi a rincorrere una carriera lavorativa per la quale ci si è sacrificati per anni: “lo Stato non può mantenere chi aspetta di trovare il lavoro dei sogni” (cit. Giorgia Meloni). Ma davvero possiamo biasimarli?

I giovani si riappropriano della loro vita e chiedono un nuovo mondo del lavoro, il problema dell’inevitabile turnover persiste (necessità di sostituire chi va in pensione) e cresce il numero dei neet (coloro che non studiano, non lavorano e non si trovano in un periodo di formazione). Vista la mancanza di politiche per i giovani, alle imprese non rimane che invocare l’arrivo di migranti.

Il decreto flussi (D.P.C.M. del 29.12.2022), per il 2023, stabilisce che potranno entrare legalmente in Italia per lavorare 82.705 persone extracomunitarie, di queste 44mila come lavoratrici. 38.705 sono le persone autorizzate ad entrare in Italia per motivi di lavoro non stagionale e autonomo. Di queste, 30.105 ingressi sono riservati al lavoro subordinato non stagionale nei settori autotrasporto, edilizia, turistico-alberghiero, meccanica, telecomunicazioni, alimentare e cantieristica navale.

Il vicepremier Tajani dichiara “Dobbiamo favorire l’immigrazione regolare. Il governo è al lavoro su questo, ovvero far venire in Italia persone che hanno già un lavoro certo nel campo dell’agricoltura o dell’industria, formati a casa loro, con viaggi che non sono a rischio. Possiamo portarne decine di migliaia perché le nostre aziende hanno bisogno di manodopera.”

Quindi, come afferma Donzelli, “Dobbiamo selezionare gli immigrati”. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Svolto al più da immigrati, selezionati all’ingresso.

 

 

(9 marzo 2023)

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