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L’Iran e la rivolta delle Donne

di Alfredo Falletti

La notizia delle sommosse popolari in Iran, teocrazia violenta ed anacronistica, con centinaia di arresti, torture e morti quasi tutti giovani sta iniziando ad arretrare nella scaletta dei tiggì come tutti i precedenti più recenti: la rivolta giovanile del Movimento Verde nel 2009 ferocemente repressa, le proteste per la fame e le condizioni economiche e sociali del 2017 e del 2019 e poi la protesta di oggi apparentemente la più originale: quella del “jihab messo male” che è costato la vita ad una giovane donna ventiduenne, Mahsa Amini, che secondo le autorità iraniane, che non potrebbero definirsi illuminate neanche sotto un riflettore da stadio, hanno attribuito ad un malore improvviso in carcere, evento al quale non sono estranee nemmeno le patrie galere italiche.

Apparentemente originale, quindi, questa protesta, per il motivo che menti superficiali potrebbero considerare futile e tragico qual è un velo messo male con l’intervento della “Polizia Morale” il cui solo nome ne determina la natura inquisitoria e vessatoria.

Ma questa è solo la scintilla che ha riacceso la fiamma della rivolta: diritti umani calpestati; libertà negata; desiderio di normalità, giustizia, condizioni di vita umane impensabili in un regime che vive sotto l’egida del sistema “dio lo vuole!”, un grido che nella storia umana sta alla base di genocidi e cancellazione di interi popoli. L’uomo che usa il proprio dio come uno scudo di legittimazione di ogni nefandezza.

Eppure un elemento di assoluta originalità esiste perché la rivolta di questi giorni non ha un leader. Nessuno si è proposto come tale né lo si sta cercando. Quanta maturità e grandezza scaturisce da tutto ciò. La rivolta nasce infatti da una sorta di comune sentire collettivo, quella consapevolezza che deriva dalla conoscenza e dal processo di formazione interiore e quindi dal rifiuto di sottostare ad una schiavitù, costi quel che costi. Un connubio di presa di coscienza e di disperazione che fa mettere da parte il naturale istinto di conservazione e fa prevalere l’esser libero d’anima, mente e corpo. Non ci sono un leader né un quartier generale a muovere le masse che si muovono da sole, guidate dai valori universali che hanno dentro al di là di programmi politici, strategie e tattiche.

Ovviamente questa fluidità fa sì che le autorità religiose (quelle politiche non contano nulla e questo denota ancor più la antistoricità del sistema iraniano) sono spaventate dalla capacità di spontanea espansione e dalla mancanza di uno o più leader: è un movimento di valori ed ideali universali e la volontà di libertà è essa stessa leader; un leader che non si può ammanettare nè uccidere a meno di cancellare intere generazioni in un genocidio di proporzioni mai viste nella storia dell’uomo.

L’idolatria, il feticcio, il sacro totem soppiantati dall’idea.

Questo rende la rivolta dei giovani iraniani qualcosa di sublime ancor più perché è contro autorità irrazionali, sanguinarie e prive di ogni raziocinio e scrupolo. Autorità che sono ben consapevoli che “il velo svelato” è solo il simbolo di ciò che stia accadendo.

Il problema è l’intero sistema Paese Iran: condizioni di vita precarie, soffocamento di ogni libertà, situazione economica e sociale che non dà spazio ad alcuna speranza né prospettiva per il futuro fa sentire tutti i giovani morti anzitempo quando i veri morti inconsapevoli sono quelle caricature anacronistiche ai quali sarebbe il caso di notificare l’avvenuto decesso, magari a mezzo raccomandata con piccione viaggiatore, vista la loro anacronistica esistenza, del quale non si sono proprio resi conto.

Poi c’è un altro aspetto che sconcerta e confonde le cosiddette autorità, soprattutto la polizia, è il fatto che, proprio a causa della spontaneità delle proteste di piazza, queste nascano all’improvviso dovunque e quindi impossibili da prevenire con il presidio del territorio. Polizia ed esercito possono solo intervenire con la ferocia dell’impotenza, la violenza, l’assassinio. È il vento della nuova considerazione di sé dei giovani e soprattutto delle donne perché questa, lo si accetti o meno, è la Rivolta delle Donne in Iran. Le donne discriminate, ignorate, additate come causa di ogni male per le loro impurità o, addirittura, perseguitate perché accusate di essere “islamofobe”, il che, in un Paese teocratico potrebbe arrivare ad equipararle alle streghe della sedicente santa inquisizione di triste memoria europea. Quella delle donne è un’autentica apartheid ed è proprio questa esasperante condizione che ha fatto esplodere una protesta che ha tracimato nel concetto più ampio di libertà, di rifiuto della dittatura nel nome di chicchessia, nella comune rivendicazione di se stessi da parte delle donne e con loro gli studenti privati di un’istruzione reale,  i lavoratori immiseriti e vittime come tutti delle sanzioni e di tutti i più assurdi divieti che mente umana possa partorire con un’aberrante interpretazione del corano trasformato in legge islamica, apoteosi di irrazionalità e condizionamento psicologico.

Inoltre, a nulla vale il blocco dei social media e il soffocare l’informazione, prima vittima a cadere sotto la scure del boia di qualsiasi regime antidemocratico perché tutto nasce in strada.

Comunque vada a finire questa “primavera”, gli iraniani, tutti, fin da coloro che sono arroccati nei palazzi e fuori dalla storia e dal senso di umanità, cambieranno e saranno costretti a farlo contro ogni atteggiamento recalcitrante. Dovranno farlo. La teocrazia, la dittatura del potere temporale religioso ha subito, subisce ogni giorno e subirà in futuro un colpo che non potrà che portarlo alla fine. Da solo o portando con sé un intero popolo. A questo punto si deve dar credito a chi affermi che “Non è una protesta, è l’inizio della rivoluzione contro il regime degli ayatollah”.

 

(22 ottobre 2022)

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