di Massimo Mastruzzo*
Le storture ambientali in Lombardia sono legate all’eccesso di consumo di suolo, dato dal numero elevato di infrastrutture, di aziende, dalla densità abitativa, dal numero di allevamenti intensivi. Per quest’ultimi basti pensare che più della metà dell’impronta ecologica del settore zootecnico dipende dalle regioni del Bacino Padano, con la Lombardia che contribuisce per oltre un quarto all’impatto nazionale e che sta divorando il 140% della biocapacità regionale. In pratica, la Lombardia dovrebbe avere una superficie agricola di quasi una volta e mezzo quella attuale per compensare le sole emissioni dirette degli animali allevati sul suo territorio.
Studi recenti dimostrano che esiste un nesso di casualità tra l’esposizione materna agli inquinanti di origine industriale e il rischio di tumori nei primi anni di vita. Le relazioni rese disponibili da Ats Brescia, sugli ultimi studi condotti sulla popolazione bresciana hanno portato risultati che accomunano, purtroppo, le mamme di Brescia e le mamme di Taranto: Un’elevata concentrazione di diossine e Pcb nel loro latte materno.
Piuttosto che economia circolare siamo al cospetto di una bolla economica che nel bacino Padano produce inquinamento circolare.
BENE COMUNE
La sottrazione di diritti costituzionali che colpiscono il sud Italia, e di rimbalzo anche lo stesso nord, sono le storture di una nazione che se puntasse realmente alla coesione sociale, come da indicazioni dell’UE, abbattendo quella disomogeneità territoriale che non a caso ha fatto giungere in Italia la quota maggiore del PNRR, si avrebbero maggiori benefici dal Sud a Nord.
Lo spiegano bene nel loro libro “L’economia reale nel Mezzogiorno” gli economisti Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis.
Se nelle regioni meridionali italiane si adottasse una logica industriale, l’Italia potrebbe diventare come la Francia e la Germania. Una affermazione forte che i curatori argomentano per dimostrare la natura italo-europea del Mezzogiorno nel Mediterraneo. Le tesi principali del volume sono due. La prima richiede per lo sviluppo del Mezzogiorno la creazione di un’«economia reale» forte in cui capacità organizzativa e razionalità produttiva si applichino a tutti i settori, sottraendosi alla discrezionalità di interventi finanziari che nascono e finiscono in quell’assistenzialismo che mortifica le qualificate risorse umane del Mezzogiorno. La seconda tesi è che i punti di forza e di eccellenza già presenti nell’economia reale del Mezzogiorno dimostrano la sua innovatività, ma non sono sufficienti per un’area con 26 milioni di abitanti. La vera chiave di volta per far emergere il Sud sta nell’integrazione tra agricoltura, industria, turismo, logistica e infrastrutture anche con una prospettiva mediterranea. Sono, queste, le tematiche lungo le quali si snoda il volume, ma anche le ipotesi di sviluppo auspicabili per il futuro dell’Italia.”
Mentre la realtà miope del sistema italiano invece di puntare sulla reciproca opportunità dell’interdipendenza economica, sta portando al rischio di desertificazione umana e industriale diverse aree del Mezzogiorno (rapporto Svimez) e la Ricerca del professor Roberto Volpi, statistico di fame internazionale, conferma purtroppo questo andamento verso il punto di non ritorno:
L’Italia entro l’anno 2070 passerà dagli attuali 60 milioni di abitanti a 47,6 milioni con una riduzione di 12,4 milioni pari a oltre il 20%. Il Nord ridurrà la sua popolazione dell’11%, il Centro del 17% e il Sud di oltre il 40%.
Ambiente e bene comune il binomio, sinonimo di Equità Territoriale, sul quale puntare per abbattere il sistema duale che al momento sta uccidendo il Mezzogiorno d’Italia ma inevitabilmente trascinerà nel baratro anche il resto del Paese.
*Direttivo nazionale M24A-ET
Movimento per l’Equità Territoriale
(2 maggio 2022)
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