di Massimo Mastruzzo*
In pianura Padana l’aria ha superato in 3 mesi i giorni di aria inquinata con PM10 sopra a 50 mcg/m3 “disponibili” in un anno (35); il suolo è imbevuto di fanghi tossici e antibiotici, le falde acquifere sono eutrofizzate e vulnerabili ai nitrati, e con i “digestati equiparati” a fertilizzante l’ambiente Padano non potrà che peggiorare.
Gli allevamenti intensivi che concorrono in modo significativo ad aggravare i fattori di pressione ambientale rischiano concretamente di portare l’ambiente Padano al punto di non ritorno.
Quando si parla di cambiamenti climatici viene subito da pensare all’impatto ambientale che hanno gli scarichi dei mezzi di trasporto e delle industrie; solo grazie a delle recenti ricerche si sta dando sempre più importanza al binomio allevamenti intensivi – inquinamento, ovvero sempre più scienziati stanno dimostrando quanto siano inquinanti le industrie della zootecnica intensiva.
Il problema più grande di questi allevamenti risiede nei grandi quantitativi delle flatulenze e dei liquami prodotti dai milioni di animali che vi risiedono. Le piccole quantità di liquame che si produrrebbero in un allevamento tradizionale verrebbero poi utilizzate come fertilizzanti per il terreno, ma quantitativi così alti sono dannosi perché queste sostanze sono ricche di azoto e fosforo che se conservate male rilasciano nell’aria ammoniaca che a sua volta unendosi ad altri componenti inquinanti produce polveri sottili.
Recenti ricerche hanno dimostrato a quanto ammonta l’inquinamento atmosferico provocato da queste industrie. In particolare, uno studio portato avanti da Greenpeace in collaborazione con l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha portato alla luce un risultato molto preoccupante: tra il 2007 e il 2018 gli allevamenti intensivi hanno inquinato come quasi otto milioni e mezzo di automobili. In questo lasso di tempo l’industria zootecnica ha aumentato del 6% le emissioni ogni anno che equivalgono a 39 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Greenpeace ha analizzato il database dei finanziamenti europei per l’agricoltura rivelando il paradosso della Lombardia; fondi pubblici destinati alla regione per la zootecnia, ossia ben 120 milioni di euro, che aumentano proporzionalmente l’inquinamento del territorio: più fondi per inquinare ancora di più. L’indagine non a caso si chiama ‘Fondi pubblici in pasto ai maiali’.
Non a caso Arpa Lombardia chiarisce che bisogna porre “attenzione ad alcune pratiche agronomiche collegate agli allevamenti perché favoriscono la disponibilità nel suolo di azoto”. Purtroppo però “in Lombardia viene ispezionato solo il 4% degli allevamenti”. Va da sé che l’accesso ai finanziamenti europei, dovrebbe essere subordinato al rispetto da parte degli allevamenti di rigide norme ambientali. Pratica che allo stato dei fatti non avviene.
“Nell’11% dei comuni lombardi – si legge ancora nella relazione di Greenpeace – il numero dei capi allevati è talmente alto che il limite di legge non viene rispettato”. Ma paradossalmente proprio questi comuni ‘fuorilegge’ – che avendo allevamenti che sforano il limite di azoto mettono a rischio ambiente e salute pubblica – sono stati destinatari di quasi la metà dei fondi pubblici europei per la zootecnica in Regione, un totale di 120 milioni di euro.
“Il limite di 170 chili/ettaro di azoto – continua l’indagine – è superato in gran parte delle aree agricole di pianura delle province di Bergamo e Brescia, nella parte sud occidentale e nord occidentale (al confine con la provincia di Brescia) della provincia di Mantova, nel settore settentrionale della provincia di Cremona e in alcuni comuni della provincia di Lodi”.
Intensificare i controlli e rendere trasparente l’erogazione dei sussidi; bisogna che la Politica agricola comune e le istituzioni puntino a finanziare la transizione degli allevamenti intensivi verso metodi di produzione ecologici, rompendo il tabù dell’aumento della produzione ad ogni costo. Questa diffusa forma di allevamento degli animali viene fortemente criticata da molte associazioni ambientaliste per l’incredibile impatto ambientale che hanno sia in termini di utilizzo di risorse (moltissima ad esempio l’acqua necessaria ad alimentarli) che in termini di emissione di gas inquinanti, le istituzioni non possono più ignorare questi dati:
- il 50% dell’intero patrimonio suinicolo nazionale è allevato nella regione Lombardia (circa 4,3 milioni di capi) , nonché il 25% dei bovini del nostro paese;
- l’11% dei comuni lombardi superano i limiti di legge per il carico di azoto;
- il 45% dei fondi PAC del 2018 per la zootecnia lombarda (€120 milioni) sono stati destinati ai 168 comuni che sforano i limiti di azoto;
- in Lombardia, si trovano in media quasi un maiale ogni due abitanti e circa 180 suini per chilometro quadrato. Stando alla Commissione europea, un territorio con una così alta densità di animali è esposto a elevati rischi ambientali.
L’Olanda è il primo paese europeo ad aver deciso di ridurre la quantità di capi presenti negli allevamenti intensivi per proteggere l’ambiente. All’interno del piano volto a dimezzare le emissioni di azoto sul territorio nazionale entro il 2030, una delle azioni utili individuate dagli esperti consiste proprio nel tagliare del 30 per cento il numero degli animali allevati.
La Campania ha detto basta alle gabbie e al sovraffollamento negli allevamenti. E apre la strada a un miglioramento del benessere animale in Italia.
*Direttivo nazionale M24A-ET
Movimento per l’Equità Territoriale
(10 aprile 2022)
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